Sappiamo davvero leggere i meccanismi che governano una organizzazione al pari delle sue dinamiche di funzionamento?
Accademici, Professionisti, Manager, tutti coloro che si occupano, a vario titolo, della gestione delle persone in azienda, possiedono le tavole di decodifica di quel complesso sistema che le persone e le loro azioni creano in un’impresa?
A mio parere no, soprattutto perché troppo spesso ci affidiamo ancora a schemi di lettura vecchi, senza metterli in discussione.
Così facendo, però, appesantiamo, quando anche non rendiamo vana, la nostra azione con il rischio di rimanere avulsi e lontani dai luoghi dove si produce il valore (per l’impresa), riducendo l’utilità sia percepita che realizzata del nostro ruolo.
Decodificare i sistemi organizzativi può essere quasi frustrante: quando pensiamo di essere arrivati alla soluzione c’è sempre un “qualcosa” che cambia e rimette in discussione il risultato. Come nel gioco delle tre carte: si segue il flusso delle carte, mentalmente lo si mappa (come si mappano i processi e le funzioni) si pensa di sapere dov’è la carta vincente e invece una mossa non percepita l’ha spostata dalla posizione presunta. Le carte come le organizzazioni, cambiano assetto velocemente al mutare (nel caso di queste ultime) della condizioni del mercato o del sistema sociale di riferimento.
Ogni tanto capita di raggiungere il risultato, a volte per bravura ma a volte per fortuna, competenza questa che può rientrare tra le competenze manageriali del ruolo.
Ridurre la casualità e aumentare le probabilità di successo, ci obbliga a trovare un nuovo, in questo caso anche “nostro”, modo di leggere un sistema così variabile come quello sottostante l’organizzazione in azienda.
È necessario riportare chi si occupa di “gestire le persone” ad un ruolo centrale nel processo di produzione del valore, dotandolo di strumenti e modelli di lettura e governo dell’Organizzazione.
Per questo nasce “Hello Pitagora” (www.hellopitagora.com), che abbiamo chiamato così in onore di colui che riuscì ad unire il soggettivo all’oggettivo, utilizzando la matematica, ancor oggi unico strumento universale di comunicazione e di lettura della realtà che ci circonda.
Prima però di parlare dell’articolazione concettuale alla base del nostro modello, desidero ripercorrere le “tappe intellettuali” che hanno definito, nel tempo, il mio pensiero sull’Organizzazione e che è stato il mio contributo alla progettazione del sistema.
Innanzi tutto, come nei precedenti articoli, premetto che il mio non è un approccio accademico e, pertanto, ciò che segue è la traduzione concettuale della mia personale esperienza pratica arricchita da qualche incursione, anche questa mia personale, nel mondo, questo sì. Ho provato a rileggere questo mio percorso come un viaggio a tappe successive, ognuna delle quali ha generato una riflessione specifica.
Ogni autore citato, sia per il suo pensiero in generale o per un suo testo specifico, mi ha, infatti, “regalato” una occasione per pormi alcune domande, focalizzare il mio pensiero su alcuni aspetti critici del sistema organizzativo (originato dalle persone e dalle loro azioni) e rileggere la mia vita manageriale rendendola più chiara e comunicabile. Pertanto non si tratta di uno studio scientifico ma di una serie collegata di spunti, spero interessanti, che spiegano il perchè (ed il come) è nato “Hello Pitagora”.
Non sempre son riflessioni concordi con il pensiero dell’autore, a volte partono all’opposto, dall’avervi trovato dei limiti, come ad esempio nel primo.
Michael Porter
Michael Porter (http://it.wikipedia.org/wiki/Michael_Porter) e la sua idea della catena del valore (http://it.wikipedia.org/wiki/Catena_del_valore), mi ha portato ad analizzare il processo di produzione del valore come una sequenza di fasi tra loro interconnesse durante le quali l’impresa aumenta o disperde il suo potenziale (di costruzione di valore). Secondo Porter l’organizzazione non è un blocco unico e rigido ma è composto da elementi autonomi (o quasi) con caratteristiche proprie.
La sua visione, però, fin qui ancora valida ed attuale, contiene anche dei tranelli ideologici:
- considerare le varie fasi stabili e chiuse entro i propri confini;
- sottovalutare l’interazione tra i diversi ambienti e processi;
- trascurare la parte soggettiva delle persone quali pensieri, emozioni, stati d’animo.
Una visione che sia nella parte che concordo che nell’altra mi ha portato alla:
Riflessione # 1
L’organizzazione è sì fatta da sottosistemi, come afferma Porter, ma non sono quelli legati alle fasi produttive esplicite e non interagiscono tra loro solo in modo lineare, causale e prevedibile. É necessario trovare una diversa catena del valore.
Michael Hammer & James Champy
(http://en.wikipedia.org/wiki/Michael_Martin_Hammer) & (http://en.wikipedia.org/wiki/James_A._Champy)
Il loro testo, Reengineering the Corporation, rivoluzionò il modo di “analizzare” i processi organizzativi, affiancando all’idea del miglioramento incrementale, “cerco di far sempre meglio”, quella di un vero e proprio momento di rottura (breakthrough), “forse quello che faccio non serve e lo posso eliminare”. Distruggere e ricostruire l’organizzazione ottenendo il risultato atteso con un processo diverso progettato ex novo.
Grazie ai due professori americani abbiamo iniziato a pensare che lasciare la strada vecchia per la nuova non era rischioso (come recita il proverbio) ma, probabilmente, altamente redditizio.
Anche in questo caso però non assumo in toto la lezione di Hammer & Champy ma la arricchisco con ciò che, a mio (modesto) parere loro sottovalutavano o non evidenziavano in maniera idonea. Sebbene la loro opera rimanga comunque una rivoluzione, ancor oggi purtroppo in molti casi ancora disattesa, e abbia iniziato a parlare di flussi diversi dal materiale, quali quelli di conoscenza e informazioni, non trattava nella loro completezza le relazioni tra le persone limitandole agli scambi di cui sopra (informazioni e conoscenza nonchè materiale). Il che mi porta alla:
Riflessione # 2
Re-ingegnerizzare gli schemi interpretativi delle organizzazioni integrando l’analisi dei processi con la lettura delle dinamiche relazionali: osservare e portare in chiaro il flusso delle relazioni del sistema sociale sottostante, come si sviluppa e si crea. Dal Business Process Re-engineering al Business Social Re-engineering inclusivo di altre domande chiave quali ad esempio: chi trasmette che cosa a chi, chi condiziona chi, chi aggrega e chi disgrega.
Jeffrey Pfeffer (http://jeffreypfeffer.com)
Dal suo “The human equation” (http://jeffreypfeffer.com/books/the-human-equation/overview/) una frase che, soprattutto oggi, deve essere sempre nella mente di chiunque si occupi di persone in azienda e di ogni manager in generale: non confondere il costo del lavoro con il costo degli stipendi. Questo semplice e quasi ovvio concetto, troppo spesso disatteso e messo in secondo piano da una visione per “quarter” sottolinea l’urgenza di allargare la valutazione delle persone a tutta la loro sfera di azione ed agli effetti che può creare la loro presenza in azienda.
Thomas O Davenport
Human Capital
(http://books.google.it/books/about/Human_capital.html?id=BUHtAAAAMAAJ&redir_esc=y)
Forse il momento chiave della mio personale percorso con l’osservazione che le persone non possono essere definite risorse umane al pari delle altre, di natura materiale, economica etc, perchè limita, per non dire fuorvia, la visione stessa del fattore umano. Le persone non sono risorse ma proprietarie di un set risorse che decidono di mettere o meno a disposizione dell’impresa in base a loro proprie e soggettive considerazioni. Un gioco di parole che rivoluziona il pensiero.
Inoltre, aggiungo io, possiedono sono solo conoscenza e competenze ma la capacità di creare o distruggere relazioni con gli altri attori dell’organizzazione e di indirizzarle verso la produzione di valore o disvalore per l’impresa. Ogni persona vale infatti per quanto sa costruire aggregazioni. L’impresa di successo deve acquisire l’insieme di queste capacità e utilizzarlo al meglio. Davenport e Pfeffer assieme mi conducono alla:
Riflessione # 3
Il costo sostenuto per le persone va considerato in base agli effetti che produce; il vero capitale umano che interessa una azienda è quello che realmente utilizza, ovvero quello connesso alle risorse che le persone mettono a disposizione dell’azienda al valore che producono.
Le persone devono essere osservate e valutate per quanto e come agiscono all’interno del sistema, per l’energia che decidono di metterci e i motivi per cui lo fanno, per quali le competenze possedute e, soprattutto, per quelle che danno origine ad azioni virtuose.
Comprendere chi è funzionale alla creazione del valore e chi invece è neutro o addirittura penalizzante.
Amartya Sen (http://en.wikipedia.org/wiki/Amartya_Sen )
L’ “Etica delle capacità” e in particolare il suo libro “Un’idea di giustizia”
Il filosofo indiano, professore nelle più prestigiose Università, premio nobel per l’economia non tratta strettamente di organizzazione di impresa, ma il suo pensiero è talmente ricco di intelligenza che i suoi insegnamenti mi guidano anche in questa disciplina. La sua lettura mi ha dato e fatto pensare molto e mi ha portato (non solo) alla:
Riflessione # 4
Non esiste un modello perfetto (trascendentale) ideale per l’organizzazione d’impresa che possa derivare da una progettazione astratta dalla realtà e poi venir declinato in applicazioni concrete, in primo luogo, ma non solo perchè andrebbe verificato chi, e su quali basi, potrebbe definire le regole per questa perfezione.
Esiste sempre, al contrario, un miglior modello relativo, applicabile in considerazione di molteplici fattori quali ad esempio mercato di riferimento, comunità sociale di appartenenza, valore delle persone, siano esse già presenti o possibilmente coinvolgibili. Gli ultimi 20 anni infatti ci hanno proposto diversi modelli di organizzazione: piatta, a matrice, a rete, tre x tre (questo è in effetti un po’ più datato), tutto out(sourcing) o tutto in(sourcing) etc. Una varietà di schemi che quasi sempre vengono presentati come panacea di tutti i mali, per affrontare problemi che nella maggior parte delle volte erano causati altrove, e che non fanno altro che aumentare il livello di entropia nel sistema peggiorandone l’efficienza. Modelli che in molte aziende si susseguono in un vorticoso ciclo involutivo alla disperata ricerca dell’organigramma “filosofale”, quello che come la omonima è in grado di trovare la giusta via verso il valore ma che non fanno altro che confermare che la miglior soluzione applicata al problema sbagliato crea più danni della non soluzione. Quante imprese continuano a riorganizzarsi lasciando inalterati i problemi?
Il cambiare ottica passando dal disegno/modello organizzativo da scegliere a quali devono essere i criteri per costruirlo mi porta alla:
Riflessione # 5
Ogni persona possiede delle capacità (concetto esteso di competenza) che devono essere trasformate in funzionamenti di valore per l’impresa. Quindi i miglior sistema organizzativo è quello che consente di:
- selezionare a monte le capacità necessarie e coerenti con il valore atteso
- favorire a valle la loro trasformazione in “funzionamenti” facilitando l’interazione tra le persone e non ostacolandola.
Un sistema che sa creare un insieme di relazioni “virtuose” e porti in chiaro, “saperi”, energie positive e “idee” assemblandole in un insieme virtuoso che amplifichi gli effetti di ciascun fattore.
Jane Mc Gonigal
“La realtà in gioco”, (http://en.wikipedia.org/wiki/Jane_McGonigal)
Un libro interessante che mi ha aperto una visuale sul mondo dei giochi virtuali (non intendo giochi d’azzardo ovviamente) fino a quel momento a me non conosciuto. Un settore economico innovativo e ricco sia dal punto di vista economico, l’industry cresce infatti a doppia cifra da anni, sia di spunti intellettuali.
La domanda su come mai tanta gente si immerge nella virtualità di un gioco e ne trova un così profondo giovamento mi porta alla:
Riflessione # 6
Ogni persona ha bisogno di comprendere quali obiettivi deve porsi, scegliere se e come seguirli e avere un riscontro preciso e puntuale sul suo progressivo livello di raggiungimento. Questo basilare principio è forse il più disatteso nella nostre aziende e aggirato con bizantinismi gestionali e organizzativi che, in contrasto con la riflessione #5, irrigidiscono il sistema riducendone l’efficienza.
Il mondo del gioco virtuale infatti attira tante persone perchè in quel luogo astratto si dichiarano fin da subito oggetti concreti quali target da raggiungere e il sistema premiante. In quel luogo si ha la piena visibilità su chi è alleato e chi no. Il sistema consegna subito il premio e incentiva il giocatore a continuare lo sforzo. Altro principio tante volte enunciato quante volte inapplicato.
Mara Selvini Palazzoli
Paradosso e Controparadosso di (http://it.wikipedia.org/wiki/Mara_Selvini_Palazzoli), assieme a L. Boscolo, C. Cecchin e G. Prata. Un libro sulla terapia sistemica in famiglie con persone schizofreniche.
Premetto che non penso che le organizzazioni contengano all’interno degli elementi di schizofrenia e quindi lo studio del testo aveva l’obiettivo di comprendere l’opinione degli autori rispetto alle dinamiche di un sistema sociale, la famiglia, paragonabile, a mio parere, a quello organizzativo. Dalla sua lettura (con occhi da organizzativo e non da terapeuta) ho derivato le seguenti riflessioni.
Riflessione # 7
Ogni persona crea nella vita delle relazioni e vuole trovare in esse un senso ed un premio per il suo comportamento. Il che ci porta ad affermare che un sistema gestionale efficace deve favorire e valorizzare la costruzione di relazioni tra le persone, in modo trasversale all’organigramma. Se non lo fa l’impresa le persone andranno a cercare altrove relazioni e sistema premiante con la conseguenza che, nella migliore delle ipotesi non metteranno la loro energia a servizio dell’impresa (riflessione #3), mentre nella peggiore, investiti da una sorta di sindrome da mancanza d’affetto (in realtà di considerazione), trasformatasi in “rancore” scaricheranno la loro rabbia sull’azienda stessa (contropotere senso di vendetta etc).
Riflessione # 8
In un sistema organizzativo la realtà delle relazioni è sistemica non lineare. Ogni azione non scatena una reazione diretta ma entra nel circolo e condiziona in modo variabile altre azioni di altre persone. Che ci piaccia o no quindi la realtà è più complessa di quanto vorremmo e i problemi che si creano non possono essere risolti con analisi superficiali e riduttive (quali quelle che portano a sostituire un modello gerarchico con uno funzionale ad esempio).
Sempre che ci piaccia o no l’analisi deve essere esaustiva e complessa, capacità, volontà, comportamenti, risultati, relazioni, sensibilità (solo per citarne alcuni), e prevedere la possibilità di ricombinare gli elementi ricostruendo le dinamiche di influenza.
Vittorio F. Guidano (http://it.wikipedia.org/wiki/Vittorio_Guidano) .
Il suo “la complessità del sè” (http://it.wikipedia.org/wiki/Vittorio_Guidano) ha fornito molte risposte sul perchè le aziende parlano molto di “engagement” senza riuscire a metterlo in pratica pienamente.
Anche qui, per rispetto dell’autore 8e agli altri già citati) evidenzio che quanto riporto è solo una minima parte di quanto contenuto nel libro e degli obiettivi per i quali è stato scritto.
In particolare la mia attenzione si è focalizzata sull’idea che il comportamento della persona derivi dalle caratteristiche intrinseche del suo modello cognitivo (conosce ed apprende) che evolve nel tempo dalla nascita fino alla morte.
Traslato nell’organizzazione mi ha portato ad elaborare la:
Riflessione # 9
Le persone quando entrano in azienda hanno un sistema cognitivo-organizzativo non elaborato paragonabile allo stadio infantile. A mio parere le aziende devono favorire la crescita e corrispondente sofisticazione del sistema cognitivo di ogni sua persona favorendone la comprensione degli accadimenti e la successiva traduzione in comportamenti. Questo, purtroppo non avviene quasi mai perchè i sistemi di sviluppo e formazione delle aziende si concentrano solo su alcuni soggetti (ad esempio gli alti potenziali) o limitano l’azione a pochi (e ripetitivi) argomenti (ad esempio servizio al cliente o similare). Risultato un’aggregazione di sistemi cognitivi disomogenea con capacità di lettura degli accadimenti parziale distorta e comunque diversa da soggetto a soggetto. Come già detto in un mio precedente articolo si crea una sorta di “babele” cognitiva con persone che non riescono nè a recepire in modo univoco i messaggi dell’azienda nè a comunicare tra loro. Abbandonate a loro stesse vengono lasciate nel migliore dei casi in uno stadio di analfabetismo cognitivo organizzativo, nel peggiore preda di modelli cognitivi errati. Allo stesso tempo, però, le stesse aziende, pretendono in occasione di grandi cambiamenti che tutti siano in grado di comprendere e che mettano in atto i comportamenti desiderati. Non è possibile abbandonare le persone e poi improvvisamente richiedere loro uno sforzo cognitivo, e poi comportamentale, che non abbiamo contribuito a supportare nel tempo.
Aggiungo a questo che supportare, e sottolineo non condizionare, il sistema cognitivo sia uno dei principali doveri dell’impresa.
Game theory e evolutionary game theory
(http://en.wikipedia.org/wiki/Game_theory) (http://en.wikipedia.org/wiki/Evolutionary_game_theory)
Da ultimo non due autori ma due teorie, anzi una ed una sua successiva evoluzione dalle quali ho tratto lo spunto per le:
Riflessione # 10
In una organizzazione le persone che ne fanno parte hanno come principale obiettivo la definizione di un sistema di equilibri tra loro e gli altri attori con cui interagirono attraverso un percorso tipicamente di prove ed errori.
L’equilibrio raggiunto, però, non è sempre la situazione di maggior vantaggio per tutti ma, solo, la migliore possibile stante le informazioni possedute, in particolar modo riguardo al comportamento degli altri. Vale la definizione dell’equilibrio di Nash che è pari alla miglior situazione che posso raggiungere indipendentemente dal comportamento di chi gioca con me. Di conseguenza se non si mettono tutti i giocatori in una condizione di totale trasparenza e visibilità, riguardo alle regole ed ai vincoli di contesto da una parte e obiettivi, intenzioni di “gioco” e comportamenti parziali dei singoli dall’altra, l’utilità complessiva raggiunta sarà sicuramente inferiore a quella massima possibile.
All’interno dell’impresa questo non deve accadere. Non si possono sprecare energie solo perchè non si è in grado di creare un sistema trasparente e si tollerano comportamenti poco chiari: l’utilità massima possibile deve coincidere con quella raggiunta.
Ricollegandoci alla precedente riflessione ogni “giocatore” deve possedere tutte le informazioni e un sistema cognitivo evoluto in grado di elaborarle affinchè metta in atto dei comportamenti funzionali al raggiungimento della utilità massima possibile.
La guerra deve stare fuori dei confini dell’impresa non dentro dove la la filosofia prevalente sia quella del “win win” e non del somma zero.
Un sistema organizzativo di successo deve comprendere la messa in chiaro di comportamenti, intenzioni e soprattutto relazioni affinchè le persone non si sentano abbandonate a se stesse e vivano l’esperienza aziendale come una lotta quotidiana per la sopravvivenza che le svuota e non le motiva nella ricerca della massima utilità ed efficienza per loro e per l’impresa tutta.
Riflessione # 11
Il sistema organizzativo è composto da sottosistemi in movimento, diversi tra loro per gli elementi che li compongono, per le dimensioni e per la velocità intrinseca che li regola, alla ricerca di un punto di equilibrio interno ed esterno. Chi governa l’organizzazione deve garantire entrambi gli equilibri (uno per ogni sottosistema più quello del sistema complessivamente) e per poterlo fare deve essere in grado di interpretare correttamente tutti fattori in gioco, statici e dinamici, persone e dinamiche relazionali.
Riflessione # 12
Ogni sottosistema è l’anello di una catena (ritorna la riflessione #1)con proprio spessore e forza che devono essere misurati per valutarne possibilità di durata e resistenza nonchè leve di crescita. Secondo la teoria dell’anello debole infatti un singolo elemento di una struttura può penalizzare la tenuta dell’intero sistema.
L’organizzazione di successo sa come misurarsi e rafforzarsi per non collassare.
Hello Pitagora: il modello di lettura e di misura
Alla fine di questo ideale percorso concettuale risulta chiaro che l’organizzazione è un sistema complesso che vive nel tempo e che si costruisce sulle persone e su come esse si collegano (aggregano) tra loro.
Governarlo significa leggerlo e avere strumenti idonei per farlo. Ad oggi io personalmente non vedo nessun modello che possa rispondere a tutte le questioni sollevate dalle 12 riflessioni sopra descritte.
Da qui l’idea di costruire un nuovo approccio filosofico prima da cui derivare sia un modello che uno strumento.
Per farlo siamo partiti da:
- Gli oggetti del sistema organizzativo
- Il sistema organizzativo è l’insieme di persone, processi e regole (valori) espliciti o impliciti
- I passi dell’impresa
L’impresa deve fare in modo che tutti comprendano gli obiettivi da raggiungere, sviluppare il sistema cognitivo delle persone affinchè possano crescere nella loro comprensione dei fatti, far fluire il maggior numero di informazioni possibili e, infine creare un sistema di fattori facilitanti l’azione togliendo gli ostacoli.
Lo schema di analisi
Questo si traduce nella definizione dei sottosistemi trasversali al sistema organizzativo (persone processi regole) che dovranno essere in equilibrati tra e dentro di loro. Per
La catena del valore di “Hello Pitagora”
Hello Pitagora definisce pertanto una sua propria catena del valore che diventa la chiave di decodifica di una organizzazione d’impresa. I cinque anelli più uno sono:
- anello uno: obiettivi intesi come necessità non solo di comunicarli ma di farli comprendere (non basta averlo detto ma è necessario essere sicuri di essere capiti) ad ogni componente dell’organizzazione
- anello due: adesione intesa come somma delle singole volontà di aderire all’idea dell’impresa (il sistema di relazione è importante per amplificare o depotenziare la sintonia tra persone e impresa)
- anello tre: capacità intesa come somma delle capacità individuali e come capacità di svilupparne di nuove (in questo sistema è importante sia lo sviluppo della conoscenza della singola persona che la possibilità di contagio e contatto per creare l’intelligenza collettiva)
- anello quattro: comportamenti intesi come i funzionamenti in cui si trasformano le capacità e sono il risultato di un insieme di fattori, il saper fare e la voglia di fare (anche in questo caso è importante il sistema di relazioni che si crea che diventa abilitante o inabilitante al pari del sistema di regole e prassi che può facilitare o ostacolare)
- anello cinque: risultati sono la misura del valore prodotto dall’azienda dal punto di vista qualitativo e quantitativo
A questi cinque abbiamo ritenuto aggiungerne un sesto
- anello sei sensibilità sociale che misura la capacità dell’impresa di produrre valore non solo per se stessa ma per la comunità sociale in cui è inserita. L’azienda che ha una visione di lungo termine infatti non può trascurare chi gli sta attorno e creare con loro un sistema di equilibrio virtuoso.
Il funzionamento del “ciclo del valore relazionale”
Abbiamo visto che il nostro modello crea una sua catena del valore con sei anelli, dopodichè va a misurare la consistenza (forza) di ognuno per costruire il complesso dei di base.
L’utilizzo e la ricombinazione di questi dati ci fornirà un sistema di indici in grado di misurare l’efficienza complessiva dell’organizzazione e delle parti che la compongono, indirizzandoci verso le azioni di miglioramento più corrette e più funzionali alla massimizzazione del valore.
Questo argomento, quali indici e quali i significati, unitamente ad un maggior approfondimento degli anelli della catena saranno il tema di un prossimo articolo.